Gabriele Poli

Critica. Figure della materia

di Alberto Veca

Questa pubblicazione raccoglie una coerente selezione di opere realizzate da Gabriele Poli per buona parte in questi ultimi due anni. Si tratta allora della proposta di un gruppo di dipinti che testimoniano un lasso di tempo relativamente breve rispetto a un arco di lavoro professionale se non ampio comunque ormai significativo, dovendosi registrare la prima uscita pubblica nel 1981.
Di questo percorso viene allora testimoniata la fase più recente, una facilitazione per certi versi per la sostanziale omogeneità delle tematiche espresse, una difficoltà dall'altra, per l'assenza delle premesse, degli esordi, delle fasi immediatamente precedenti, tappe significative se di un lavoro si vuole cogliere la fisionomia complessiva. Anche se la ricerca non segue rigorosamente una tematica specifica o soluzioni fra loro coerentemente connesse, ci troviamo davanti a lavori che mantengono ed evidenziano a prima vista una loro coerente relazione. E questo mi sembra un primo dato interessante.

Non è l'occasione esterna, la sua osservazione a dettare i soggetti della pittura, ma questi seguono un ritmo interiore, nel nostro caso la capacità di filtrare quanto è appunto fuori, percepito nella propria immaginazione e nella espressività degli strumenti adottati. Della "linea analitica" dell'arte, che nella sua qualità di autoriflessione mi sembra costituisca, il vero spartiacque di questo secolo, fra moderno e contemporaneo, Poli ha mantenuto il rispetto e il controllo, l'attenzione ai materiali della pittura e alla loro possibilità espressiva, aggiungendo una significativa allusività figurale guardando anche all'esterno della pittura, dalla finestra dello studio.

Queste brevi note vogliono alludere appunto all'oggi, a quanto esposto nell'occasione; precedentemente, nel 1992, avevo avuto occasione di poter discutere del lavoro di Poli, tradottosi nell'edizione di un catalogo edito l'anno successivo dal titolo Tracce provvisorie, che intendeva sottolineare come la personale via all'espressione plastica dell'artista passasse attraverso la resa durevole di manipolazioni di pigmenti, sabbie e collanti. Ne emergeva una particolare sensibilità nel lavoro manuale, nel controllo dei materiali, nel portare in evidenza una superficie plasticamente articolata, costruita per sovrapposizioni, impasti successivi fino a giungere a una disseminazione nel campo di frammenti formali e cromatici senza un centro ordinatore. Eventualmente poteva intervenire, giustapposto o variamente connesso con il fondo, un gesto di maggiore evidenza, magari registrato in una serie di dipinti connessi, in una sorta di non preventiva ma organica sequenza.
Da ieri a oggi mi sembra che la situazione si sia per certi versi semplificata, tanto alla ricerca di un ordine di sapore costruttivo, tanto nell'abbassamento della gestualità quanto nella maggiore connessione fra campo e figure.
Anche il lavoro sembra scevro da qualsiasi regola predeterminata ma il singolo quadro vive per le tensioni, i gesti, la tavolozza che in quel momento sono gli attrezzi mentali e materiali del fare, un analogo immaginario sembra governare l'impaginazione, la composizione, infine anche la scelta del considerarlo giunto a "finizione". Del molto che Poli produce, poco rimane, viene considerato adeguato, in un processo che tende a rendere poco calcolato a priori il gesto e il comporre che vengono diversamente disciplinati dalla pratica, dall'esperienza, dalla confidenza nel fare.
L'impaginazione che Poli adotta non ha intenti illustrativi, ma la suggestione è quella delle indicazioni plastiche che un "paesaggio" può esercitare, sia pure di natura non convenzionale: non esiste infatti punto di vista o stazione privilegiata da cui osservare, ma ci troviamo immersi in un continuo di tracce, di soglie che definiscono in modo approssimativo campi cromatici fra loro anche conflittuali, partizioni verticali anche, che suggeriscono il quadro come particolare, frammento di un continuo plastico in cui la stratificazione, la sedimentazione e la sovrapposizione narrano di una storia del fare quadro che è insieme interna all'operare diretto del pittore con i suoi materiali eletti - anche i colori, sia pure nella diversità dell'impasto, sono in questo ciclo di lavori ridotti, i rossi, i blu e il bianco come elemento a un tempo capace di separare, a un tempo di connettere - e contemporaneamente a essere allusiva a figure dell'agire nell'ambiente, dall'architettura alle grafie segnaletiche, fra impronte e usure, che appartengono al nostro immaginario quotidiano, spesso assimilate inconsapevolmente ma non per questo assenti nel nostro modo di agire e di giudicare quanto ci è intorno. Il privilegio della distanza permette agilmente di distinguere pieno e vuoto, l'oggetto e il suo ambiente, determina una rassicurante scala di grandezze: il "tutto pieno" che Poli realizza indica un approccio all'interno delle cose, abbatte le coordinate rassicuranti, quelle del palcoscenico come quelle della finestra per usare metafore abituali dei luoghi della pittura. L'assenza di un centro, come di un bordo-limite, costringe a una lettura esplorativa, tanto nell'ordine della superficie quanto in quello più inquietante delle stratificazioni e della corposità del pigmento adottato.
Questo effetto di incertezza viene ulteriormente accentuato da una superficie mai omogenea ma frutto di un attività di impasto dei colori e dei diversi materiali adottati che denunciano apertamente le tracce degli interventi e i passaggi per giungere alla "pelle" esterna. Si tratta di un "rilievo" irregolare, che dalla massa compatta può giungere alla rarefazione del pulviscolo: per esercizio, occorrerebbe leggere anche "di lato" in quanto lo spessore dei passaggi e delle sovrapposizioni propone una "figura" supplementare, risultante di interesse non secondario.

Alberto Veca, Milano, ottobre 1998