Gabriele Poli

Critica. Tappe per una indagine

di Alberto Veca

La pubblicazione documenta un arco significatiŽvo di lavoro di Gabriele Poli. È quindi nell'ottica della durata nel tempo di una "maniera" di usare gli strumenti della pittura che il ragionamento prende le mosse: e si tratta di una posizione per certi privilegiata perché è possibile leggere lo sviluppo della ricerca a partire dalle sue fasi iniziali, evidentemente provvisorie, comunque considerate significative alla luce degli sviluppi successivi, fino ai lavori più recenti che costituiscono l'argomento privilegiato di questo intervento dal momento che altri contributi "coprono" o completano il quadro.
Il lavoro di Poli, indipendentemente dalle stagioni che ha conosciuto, dalle indagini su questo o quel soggetto, ha costantemente segnalato un paradosso: quello di una facilità nel tradurre in linguaggio plastico, in impasti materici, in colore e quindi in forme pregnanti dal pusto di vista pittorico una "immagine mentale" indipendentemente dalla sua origine, dalla sua distanza dall'esperienza quotidiana, di uno sguardo degli occhi a quelli del cuore o del cuore. La confidenza, anche l'abilità con cui si gestisce il proprio materiale espressivo, che sia pigmento o parola non importa, può essere una facilitazione nel momento della difficoltà, quando il soggetto è di difficile identità, anche una trappola quando l'ovvietà del tema affrontato pone in seconda linea il fare, che è in fondo, costantemente, il senso più profondo dell'atto espressivo. Allora queste abilità in Poli sono costanti: la sua è allora la ricerca di una "cattura" intelligente dell'immagine: la difficoltà non è nella sua traducibilità in pittura. Le riflessioni inaugurali dipendono dalla constatazione che il percorso dell'oggi è incontrovertibilmente interrogativo. Poli si è confrontato - almeno questa è la parziale memoria frutto della diretta frequentazione con l'artista - con una indagine interrogativa sul grafo, sulla traccia lasciata dal gesto sulla superficie adottando i materiali più disparati, dalla resa plastica che dall'evanescenza andavano a scoprire la terza dimensione. Successivamente dall'assenza di allusione spaziale, Poli si è impegnato in una indagine, certamente non convenzionale, sulla scatola cubica che è la traduzione in pittura dell'ambiente vitale, dei suoi segnali. Così la superficie illustrata, precedentemente inerte, si è arricchita di una capacità illusionistica costantemente ridotta ai suoi termini essenziali: non è il racconto o la descrizione a stimolare il lavoro quanto la capacità della pittura a alludere sinteticamente, per frammenti, a un tutto che costituisce l'ambiente umano, la relazione. Appunto un paesaggio, certamente scomposto in un caleiodoscopio di punti di vista, di adiacenze cromatiche antitetiche - il fondo e la figura - o graduali - la distanza, il peso, la cromia - per una sintesi incerta, dove l'occhio dell'osservatore unisce ciò che il pittore ha invece sezionato. Dove ancora questa sezione è la possibilità di leggere, ma in una ben diversa unità, quanto precedentemente separato. Si alternano allora nel dipinto luoghi della certezza e luoghi dell'ambiguità, quando non si conosce a quale categoria il singolo frammento appartiene, se del fondo o della figura. E questa incertezza è protagonista del lavoro più recente di Poli, un dubbio sul tradurre l'immagine mentale in dipinto che l'ha portato a rimettere in discussione due fra i più fertili soggetti del dipingere, la figura umana e il paesaggio. Per certi versi siamo nella fase esordiale della pittura contemporanea, quando i generi tradizionali (pittura di storia, ritratto, paesaggio) vengono messi in discussione come non antagoniste ma certo diverse vie alla rappresentazione. In una fase del lavoro profondamente interrogativa, di "crisi" se al termine viene attribuito l'etimologico valore di "giudizio" e non di radicale rimessa in discussione dei propri strumenti cognitivi, alle soglie della "noia" Poli ha "reimmesso" nel quadro quanto non è stato cancellato programmaticamente, la figura umana rispetto a un paesaggio, ma precedentemente considerato ininfluente rispetto al valore e alla pregnanza del fare. Per chi ha sperimentato, negli anni, la fisionomia espressiva del gesto, consegnato alla traccia che lo strumento determina, che successivamente ha invaso il campo della rappresentazione di un paesaggio, sia pure interpretato per frammenti di incerta identità, giungere alla indagine sulla figura umana, sulla sua capacità di simbiosi, di mimesi nei confronti del paesaggio può sembrare un percorso di progressiva attribuzione di un valore mimetico, illustrativo, a un luogo plastico per definizione inadatto a rappresentare. Ora la maturità della ricerca di Poli, aggiungo anche una personale correzione in corso d'opera del modo di operare nell'ambito plastico, mi spingono a dire che esiste fra ieri e oggi una continuità di ricerca che solo una ottusa ortodossia, quindi programmaticamente sbagliata, può negare la connessione fra ieri e oggi. In effetti "reintrodurre" la figura è espressione infelice perché mai la figura è stata negata: impossibile negarne le categorie percettive, eventualmente può variare la fisionomia, ma l'obiettivo che caratterizza questa fase del lavoro di Poli mi sembra sia quello di "messa a prova" di una maniera di rappresentare che può reggere la sfida anche di un soggetto altrimenti ingombrante.
Qualunque indagine che metta in discussione le cerimonie acquisite e ereditate, che sperimenti, prevede momenti di transizione, difficoltà, anche errori - e magari l'errore nasconde la soluzione efficace nel futuro perché in esso vi è discordanza fra vecchio e nuovo - che sono tali solo per una lettura meccanica dell'operare. Per fortuna nella ricerca artistica quanto più il percorso lineare tanto più è deludente, scontato. Diversamente nel nostro frangente vicino (il corpo) e lontano (il paesaggio) costituiscono le tessere di un mosaico che a volte risulta esplicito nella sua antitesi fra vuoto e pieno, fra vicino e lontano, a volte, diversamente, lascia nell'incertezza una lettura immediata. Più facile cogliere le differenze una volta si passi da una lettura frettolosa, complessiva del quadro, a una più analitica, capace di cogliere le differenze, quindi di ricostruire in una mentale unità quanto diversamente raccolto e messo in evidenza.

Alberto Veca, 2005